15 aprile 2018

"Robinson, La Repubblica"

Amore e Xanax a Damasco

Quelli che hanno paura di Dima Wannous (Baldini&Castoldi)

Due ragazzi che soffrono di attacchi di panico e dipendono dallo Xanax s’innamorano nella sala d’attesa di uno psicologo. Una storia di fragilità occidentale? No, siamo a Damasco. E la paura che li paralizza, così simile alla nostra, affonda le sue radici in un mondo completamente diverso: la Siria degli Assad e della rivoluzione. Del resto, la letteratura ha questo dono: non ti spiega la storia, te la fa vivere. 

Dima Wannous (Damasco, 1982) è una giovane scrittrice bravissima, già tradotta dai più importanti editori europei, come Gallimard e Harvill. Quelli che hanno paura (traduzione di Elisabetta Bartuli e Cristina Dozio, Baldini&Castoldi) è un romanzo atroce e bellissimo, che ci fa entrare nella Siria devastata dalla guerra, fra le rovine che ha lasciato nell’anima di chi è rimasto e di chi è fuggito.

Suleyma e Nessim vengono separati dalla rivoluzione del 2011. Lui, medico e scrittore, dopo aver perso la madre e la sorella nei bombardamenti di Homs, scappa in Germania con il padre. Lei, figlia di una coppia sfuggita al massacro di Hama, invece rimane a Damasco con la madre, perché il fratello è stato fatto sparire dal regime. 

Un giorno, Nessim spedisce a Suleyma il manoscritto del suo romanzo. E’ la storia di una ragazza in esilio a Beirut, tormentata dalla stessa paura di Suleyma.

Attraverso questi tre personaggi entriamo nella Siria degli Assad, prima e dopo la rivoluzione. Li vediamo crescere sotto il partito Ba’ th. Già a scuola regna il terrore. Si insegnano materie come educazione militare o educazione patriottica e si impara subito a subire le umiliazioni dei potenti. Con le figlie dei politici che spadroneggiano, libere di tormentare le compagne. 

Poi comincia la rivoluzione. «Non c’è stato un inizio netto, a una data precisa, a un’ora esatta. D’improvviso, ho capito che lo strappo era avvenuto».

E questo strappo lo vediamo dentro le famiglie. Una cugina che d’improvviso scrive: «Non mi auguro che ammazzino tua madre, no. Però spero che ti violentino e che ti sgozzino davanti a lei, così che la sua vita diventi una tortura». Perché la madre della ragazza è sunnita e la cugina è alawita. «Come fa un essere umano a diventare una bestia? Gli succede di improvviso o per gradi?» 

Le case che non sono state bombardate, vengono saccheggiate dall’Esercito regolare. Vediamo gli shabbiha rubare i mobili, svitare le lampadine, staccare le piastrelle dei bagni e i pavimenti, smontare le finestre, e portarsi via tutto, comprese le ringhiere del terrazzo. 

Si parla di posti di blocco, di black out continui e prezzi alle stelle, di ospedali troppo pieni («per cercare un letto bisogna prendersi le ferie») e medicinali introvabili. E di torture. Nessim, che si è tatuato sulla schiena nome e indirizzo per paura di rimanere un cadavere non identificato, conosce la sezione 215, detta «braccio della morte e della pazzia», dove è stato rinchiuso per un mese, in una cella di quattro metri per cinque con altri novanta prigionieri. «Un unico corpo sormontato da più di novanta teste. Nessim mi ha detto che magari erano novantanove, una testa per ognuno dei novantanove nomi più belli di Dio». I prigionieri vengono picchiati con un bastone arrugginito, che chiamano come l’inviato ONU in Siria. Intanto la gente impazzisce per le strade. Commuove una signora con maschera e boccaglio, sdraiata sul marciapiedi, che parla al cellulare con la figlia morta durante la traversata del Mediterraneo. Ecco la rivoluzione. 

E la paura, «l’unico sentimento a cui l’animo umano fatica rassegnarsi», da sentimento individuale si trasforma in sentimento collettivo. «Siamo diventati tutti un’unica storia».

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