24 dicembre 2017

"L'Espresso"

Infelicità senza sorprese

Heather, più di tutto di Matthew Weiner (Einaudi)

Davanti a serie televisive magnifiche come Mad Men, molti hanno pensato che la narrativa del nuovo millennio in realtà fosse lì. Sette stagioni per conoscere sempre meglio i personaggi, in tutte le loro contraddizioni, per vederli cambiare o essere irrimediabilmente se stessi, un lusso temporale che nessun romanzo si potrebbe concedere e che inevitabilmente regala un respiro straordinario alle storie, soprattutto a quelle raccontate così bene. Poi esce il romanzo d’esordio di Matthew Weiner, Heather, più di tutto (traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi) autore, sceneggiatore e regista di Mad Men e si resta delusi. Non c’è l’umorismo e la ferocia di quelle battute che ci hanno tenuti incollati a novantadue puntate, nessun personaggio indimenticabile come Don Draper, non si precipita in un mondo che prima non si conosceva, come quello dei pubblicitari, filtro per leggere la storia americana degli anni Sessanta. Qui si parla di una borghesia americana, benestante e indifferente al destino degli ultimi, fin troppo raccontata, su cui Tom Wolfe ha già detto tutto, delle solite famiglie infelici che fanno finta di non esserlo. Anche come noir, è debole: il finale è banale, prevedibile, didascalico. Allora forse bisogna interrogarsi sulla separazione delle carriere. Un romanziere può invidiare la ricchezza offerta da una nuova modalità narrativa – spesso le serie sanno raccontare qualcosa di più nuovo e di più vivo dei libri – ma ha una sua specificità e con i suoi mezzi limitati (le parole) deve aprirci a tutto quello che può. Magari la letteratura non è affatto superata, è solo qualcosa di molto diverso.

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