25 marzo 2018

"Robinson, La Repubblica"

La tv mi ha liberato dal peso di Melrose

Intervista a Edward St Aubyn

La saga dei Melrose di Edward St Aubyn diventerà presto una serie tivù per Sky Atlantic, firmata da David Nicholls. E’ un ciclo narrativo di cinque romanzi scritti nell’arco di vent’anni, un’opera di straordinaria bellezza, ambientata nel mondo dell’aristocrazia inglese di oggi, che ha come protagonista Patrick Melrose, alter ego dell’autore. Abusato dal padre da bambino, cresciuto con una madre fragile e anaffettiva, Patrick non può che andare incontro all’autodistruzione, prima attraverso le droghe e poi alcol e farmaci, accumulando rovine su rovine, matrimonio compreso. Un personaggio tragico di cui è impossibile non innamorarsi, anche per il suo humor sottile, tremendo e intelligente.

Neri Pozza sta pubblicando tutta l’opera di St Aubyn e la prossima settimana sarà in libreria «Via d’uscita» (traduzione di Luca Briasco), un romanzo scritto nel 2000, che ha per protagonista Charlie Fairburn, uno sceneggiatore di successo a cui restano solo sei mesi di vita. Fra umorismo spietato e riflessioni serissime sulla coscienza umana, anche Charlie, come Patrick, lotta «per quel lampo di libertà che si nasconde nel cuore delle cose».

Ha già visto la serie «Patrick Melrose»? Quando uscirà?

In Inghilterra uscirà a maggio. Non è ancora editata, quindi ho visto solo i primi tre episodi quasi finiti. E’ meravigliosa. La regia di Edward Berger è fantastica. E davanti a Benedict Cumberbatch che fa Patrick o a Jennifer Jason Leigh che fa Eleanor, sua madre, ho capito la profondità del talento.

Ha collaborato alla sceneggiatura? 

Sono stato coinvolto, ma non è il mio mestiere, è il mestiere di David Nicholls. Mi ha dato il testo e io ho fatto le mie annotazioni. E’ un lavoro di produzione iniziato tanti anni fa, e la sceneggiatura è solo una parte. C’è la regia, ci sono gli attori, c’è la fotografia. E poi le battute cambiano durante le riprese. Tutto questo è affascinante. E’ così diverso dalla scrittura.

Hanno rispettato l’eleganza e l’umorismo del romanzo?

Totalmente. Hanno tenuto molti dialoghi originali del libro. C’è la stessa empatia verso i personaggi, la stessa tragicità. Poi, certo, quando un romanzo diventa un film o una serie, c’è tutta una parte di scrittura che va persa. La vita interiore dei personaggi, per esempio. Per cui bisogna renderla in un altro modo, attraverso la recitazione o l’atmosfera. David ha fatto uno straordinario lavoro di adattamento.

Il ciclo dei Melrose è un lavoro di vent’anni. Cos’ha provato vedendolo trasformato in una serie?

E’ stato interessante soprattutto partecipare alle riprese, ho fatto anche una piccola comparsa alla Hitchcock, nella scena della festa. Per me è stata come una vacanza. Chiacchieravo con gli attori, li aiutavo. Era così bello stare insieme ad altre persone, in mezzo alla gente. Io sono sempre solo. Del resto, la mia è una professione necessariamente solitaria.

Il ciclo dei Melrose in parte è autobiografico e, alcuni anni fa, durante un’intervista, lei mi ha detto che per scrivere davvero di sé bisogna usare la terza persona. Ma questa è molto più di una narrazione in terza persona: c’è un attore in carne e ossa che mette in scena il suo vissuto. 

Assolutamente. Per me è stata una doppia sublimazione. È toccante vedere che quella storia diventa qualcosa di cui non hai più il controllo. Qualcosa che si allontana sempre di più da te. E’ stato un sollievo grandissimo! (Ride) Patrick Melrose porta il peso di una parte della mia vita. Molto generosamente Cumberbatch è diventato Patrick e tutta la gente penserà che Patrick è lui e non io. Chi non ha letto il romanzo e vedrà la serie, assocerà Patrick all’attore, non a me. E’ davvero una sensazione piacevole. Continuavo a trascinarmi dietro quel bagaglio pesante, poi è arrivato qualcuno e mi ha aiutato a portarlo.

Patrick ha trovato un’altra via verso la libertà, allora.

Esatto. Non è solo uscire di prigione, è proprio iniziare una nuova vita. Da un lato la serie mi ha costretto a tornare indietro, di nuovo su Patrick, dall’altro me ne sono allontanato ancora di più.

In «Via d’uscita», il romanzo pubblicato adesso in Italia, ho notato delle affinità fra Charlie, il protagonista, e Patrick. Entrambi hanno una spiccata inclinazione per l’autodistruzione e insieme un forte desiderio di libertà.   

Ha ragione. Non avevo mai pensato a queste somiglianze. Ma è molto diverso il livello di coinvolgimento se usi la prima persona o la terza. E in terza è maggiore che in prima. In prima tutto è più esplicito e urgente e implacabile. Patrick, raccontato in terza persona, cambia nel tempo lentamente e dolorosamente. Charlie, che si racconta in prima persona, è guidato dalla sua urgenza. Ma è vero: si assomigliano nella combinazione fra enorme serietà e capacità di autodistruzione. Entrambi cercano la libertà. Ma Patrick cerca di liberarsi da una vicenda personale, storica, psicologica che condivide con i suoi lettori. Invece Charlie insegue la libertà come una preda da cacciare.

Ma le manca Patrick Melrose o la serie ha cambiato definitivamente il suo rapporto con lui? Perché a molti piacerebbe leggere un altro libro dei Melrose, un po’ questa presa di distanza preoccupa.

Beh, dovete darmi una pacca sulla spalla se volete un altro romanzo su Patrick. Non mi sono mai sentito in dovere di continuare. Dopo «Latte materno» (il terzo del ciclo ndr) avevo pensato a un’altra trilogia simmetrica, ma ne ho scritti solo due. Però non sono attendibile. Ogni volta dico Smetto, e poi ne scrivo un altro. E viceversa.

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