11 maggio 2013

"il Fatto Quotidiano"

Letteratura e ingiustizie nella storia di Jean Rhys

Quando ci si lamenta dell’ingiustizia del mondo letterario, che premia alcuni scrittori e ne dimentica altri, magari di grandissimo valore, bisogna fare lo sforzo di riconoscere che non è un problema di oggi: è sempre stato così. La storia di Jean Rhys (pseudonimo di Ella Gwendolen Rees Williams), scrittrice inglese di origine caraibica, è un caso esemplare.Basta leggere Quartetto, il suo primo romanzo, uscito nel 1928 (pubblicato ora da Adelphi) per capire che forse non era il caso di accorgersi di lei solo nel 1966 quando, a 76 anni, esce con Il grande mare dei sargassi. Nel 1981 James Ivory sceglie proprio Quartetto per fare un film, ma è troppo tardi: la Rhys è morta da tre anni. Non saprà mai che la sua storia, (autobiografica, racconta la relazione con lo scrittore Ford Madox Ford) è stata interpretata da Isabelle Adjani.

I 38 anni che passano fra questi due libri per la Rhys non sono certo felici. E’ talmente ignorata come scrittrice, che molti la credono morta. Invece ha vissuto eccome, sempre arrangiandosi. Ha avuto tre mariti (due finiscono in galera e uno muore) e grandi passioni clandestine, ha perso un figlio, ha vissuto in miseria a Parigi e a Londra (da giovane faceva la ballerina di fila), ha pubblicato altri quattro romanzi e ha scritto molti racconti. Nel 66, quando il successo la raggiunge, è una vecchia signora, poverissima e alcolista, che si è ritirata in Cornovaglia. E che ha ancora parecchie cose da dire (e da scrivere).E pensare che già in Quartetto si nota una voce che non ha niente da invidiare quella di scrittrici del calibro di Marguerite Duras o Nina Berberova: stesso stille secco e pungente, stessa sensibilità moderna e nervosa, e quella speciale crudeltà nel parlare d’amore, con una Parigi simile sullo sfondo, che si trova in opere come Il dolore o Il giunco mormorante (molto successive).

Quartetto è la storia di un ménage à trois: ma chi pensa di sapere già tutto su un tema che ormai suona trito, sbaglia. Non solo perché dietro c’è un ritratto di donna indimenticabile e Marya Zelli, detta Mado, è un personaggio di cui non ci si può più liberare. Ma anche perché la Rhys, con il suo sguardo lucido che non si stanca mai di indagare, in fondo ci racconta altro: la fragilità umana, per esempio, e l’autodistruzione che accompagna questa fragilità, micidiale come il Veronal mescolato al Pernod che la protagonista ha l’abitudine di bere.

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