3 settembre 2017

"Robinson, La Repubblica"

Ombre rosse e vite scambiate

Cacciatori nel buio di Lawrence Osborne ( Adelphi )

Cacciatori nel buio di Lawrence Osborne (traduzione di Mariagrazia Gini, Adelphi, pp. 277) dimostra che la combinazione perfetta fra uno stile magnifico e una trama tesissima può esistere ancora, come ai tempi della Highsmith o di Simenon, di Chandler o di Greene. Con la consapevolezza che oggi quel magico equilibrio va ritrovato attraverso narrazioni nuove. Osborne usa il suo respiro da classico per soddisfare istinti da pioniere. Ha capito che uno scrittore inglese dell’epoca globale non è costretto a restituire il suo mondo, ha a disposizione molto di più, cioè i mondi degli altri.
Con Cacciatori nel buio ci porta in Cambogia. Robert è un giovane insegnante del Sussex, scontento di una vita priva di «sorprese a spezzare l’immutabile palinsesto» («La sua gioventù era un dodo senza ali. Si poteva insistere a volontà, ma non avrebbe cantato. Aspettavi che la vita cominciasse, eppure chissà perché non cominciava»). Ma un giorno, durante una vacanza in Thailandia, quando sta per finire i soldi, si trova a vincere duemila dollari in un casinò al confine con la Cambogia. E’ l’occasione per attraversarlo. All’inizio si comporta come un barang (straniero) qualsiasi, che strapaga un autista khmer per farsi accompagnare a vedere templi e rovine, finché non incontra Simon Beauchamp, un americano vestito di lino, con mocassini scamosciati, bello, elegante e sicuro di sé (un personaggio molto highsmithiano), che lo invita nella sua casa sul fiume, dove abita con una ragazza khmer. Robert passa una piacevole serata a bere, a giocare a scacchi e a fumare oppio, ma il mattino dopo si ritrova su una barca, con addosso i vestiti di Simon e una banconota da cento in tasca, senza più valigia, senza passaporto e senza i duemila dollari vinti al casinò. Potrebbe andare all’ambasciata e denunciare il furto, invece decide di sfruttare questa occasione per cambiare vita. «Era un gioco incredibile, spedirlo così nudo in mezzo al mondo» ma Robert sta già pensando a «come saltare in tutta leggerezza dentro la vita di un altro» e ricominciare tutto a Phnom Penh, sotto il nome di Simon Beauchamp. Se la caverà dando lezioni di inglese. Al suo annuncio risponde il dottor Sar, un medico costretto a collaborare con i Khmer Rossi che avevano occupato la sua clinica, sua figlia Sophal ha bisogno di un insegnante. In realtà, Robert e Sophal vagheranno solo da un bar all’altro della città, coltivando il loro amore e un’indolenza alcolica degna di Malcolm Lowry («Che vita facile. Solo momenti messi insieme a caso»). Sono entrambi cacciatori di felicità, o cacciatori nel buio, per usare un’espressione del dottor Sar, che paragona i ventenni di oggi agli «irrequieti cortigiani della corte imperiale nel Giappone medievale, sempre a caccia di vantaggi personali».
Nel frattempo, la borsa con i duemila dollari diventa l’obiettivo di un autista e di un poliziotto che ha vissuto l’Anno Zero della Rivoluzione e ha commesso le peggiori atrocità sotto il regime di Pol Pot. E gli eventi cominciano a ammassarsi «uno sopra l’altro come tronchi gettati su una catasta». «Il karma vorticava intorno alle cose assegnando loro un destino sul quale il semplice desiderio non aveva nessun potere. Rendeva irrilevanti i piccoli calcoli di ciascuno».
Sullo sfondo, i crimini dei Khmer Rossi, che hanno lasciato alla generazione successiva «la costante sorpresa della vita in sé, quel raccapricciante e dolce prodigio», e un Occidente abulico, allo sbando, che muore in piedi «di torpore, tracotanza e debiti». Cannoni e carri armati arrugginiti, mine inesplose che fanno saltare in aria persone e cervi, e barang che vengono in Cambogia per drogarsi e morire in un fiume. Ecco i fantasmi che vedono i khmer. Un romanzo sinistro, complesso, raffinatissimo. Osborne è un grande paesaggista, capace di raccontare le nuvole come Turner, nuvole cariche di presagi che avanzano con «fantasiosa fatalità e grandiosità nefasta», e piogge monsoniche che non laveranno mai via il sangue versato.

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