30 luglio 2017

"L'Espresso"

Quanto è snob quel delitto

Compulsion di Meyer Levin ( Adelphi )

Il noir più bello dell’estate? E’ un capolavoro del 1956. La data è importante perché Compulsion di Meyer Levin (traduzione di Gianni Pannofino, Adelphi, pp. 580) è un nonfiction novel che precede A sangue freddo. Anche qui ci sono due assassini che l’autore conosce fin troppo bene, ma Levin, il vero inventore di un genere letterario nuovo, non è cinico come Truman Capote, che spera nella condanna per chiudere il romanzo (turbato dalla possibilità che il giudice sospenda l’esecuzione, nel ‘61, scrive a Alvin Dewey: «Il problema è che sono arrivato a un punto del libro in cui devo sapere come va a finire!»). Qui succede il contrario. Levin, che da studente ha seguito il caso come giornalista del «Chicago Daily», trent’anni dopo viene invitato a intervistare Nathan Leopold (Richard Loeb è morto in carcere) perché il tribunale deve decidere se concedergli la libertà condizionata o no. Il libro nasce così.
All’epoca del delitto – 21 maggio 1924 – tutti i protagonisti sono minorenni. Sid (alter ego dell’autore) frequenta la stessa università degli assassini (nel romanzo, Judd Steiner e Artie Strauss). Sono tutti e tre ragazzi prodigio, geniali, laureati a diciott’anni. Solo che Judd e Artie sono figli di milionari, mentre Sid lavora già, come giornalista di nera.
L’omicidio sconvolge Chicago perché non ha un movente. I due ricchissimi studenti modello hanno ucciso un ragazzino quasi per gioco, per fare un esperimento. La vittima è stata scelta a caso e loro sono imbevuti di idee nietzschiane sul superuomo, al di sopra della legge: è un delitto decadente, fine a se stesso.
Ma il piano, studiato per mesi, è tutt’altro che perfetto – Judd perde addirittura i suoi occhiali sulla scena del crimine – è un delirio semmai, una vera e propria folie à deux. La passione omossessuale (ai tempi scandalosa: «gli invertiti», vengono chiamati) non c’entra, è più che altro un incastro rovinoso di personalità disturbate su cui è difficile far luce. Se non si fossero incontrati, sarebbe mai successo? E chi dei due ha portato l’altro così atrocemente lontano? E così, dal delitto del secolo, si passa al processo del secolo (per la prima volta entra in aula la psicoanalisi). E tutto succede mentre, in Germania, quelle stesse idee superomistiche stanno per portare al delirio un’intera nazione.
Questo caso ha ispirato Nodo alla gola di Hitchcock (1948), che però è precedente al romanzo ed è tratto da una pièce teatrale di Hamilton (è basato invece sul libro il film di Richard Fleischer, con Orson Welles, Frenesia del delitto, 1959). Hitchcock dice che la suspense si crea quando «si lascia che il pubblico giochi a credersi Dio» e usa come esempio proprio Nodo alla gola perché il pubblico sa delle cose che i personaggi non sanno. Il principio è valido anche per il libro di Levin, che ti tiene con il fiato sospeso per cinquecento pagine. Intenso, complesso, vertiginoso: è un viaggio nel lato oscuro dell’uomo.

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