8 febbraio 2014

"Left – L’Unità"

Bonvicini, favola e storia.

Se dovessimo distinguere schematicamente due grandi famiglie di scrittori italiani, gli Affabulatori e gli Stilisti, non avrei dubbi a inserire Caterina Bonvicini nella prima (con Ammaniti, Mazzucco, Piperno. …). Il gusto di narrare pervade ogni pagina di Correva l’anno del nostro amore, la prosa aderisce a dettagli dei volti, dei paesaggi, delle esistenze. Olivia e Valerio, lei figlia di ricca famiglia borghese, lui figlio del giardiniere – nati nel ’75 – crescono insieme, si separano, si incontrano di nuovo per la festa dei 18 anni di lei, fanno l’amore, ancora si separano, diventano poi amanti benché sposati. Attraverso la loro vicenda scorre la triste cronaca degli ultimi 40 anni: stragi, sequestri, Mani Pulite, la “discesa in campo” del Cav. La nonna di Olivia, «grande narratrice» ispira segretamente queste pagine. Racconta ai bimbi la “favola” del banchiere di Dio Calvi ripescato nel Tamigi perché loro hanno il diritto di capire, e perché «la verità non doveva mai essere un segreto». Si racconta non solo per intrattenere ma perché la narrazione rende conto della verità, sempre ambigua, sfuggente, meglio della filosofia o di qualsiasi scienza sociale. E il Tamigi evoca Dickens, altro nume tutelare del romanzo: penso a Grandi speranze, ai tanti «gesti mancati o realizzati», ai «poteri sotterranei dei desideri» all’intreccio di immaginazione e destino, alla rappresentazione dei sentimenti che non è mai sentimentale, perché avviene sullo sfondo della lotta di classe, di un feroce darwinismo sociale. La descrizione della borgata romana è all’altezza del miglior Siti (il compagno della madre, “cravattaro”, gli dice prima di morire: «Giurame che farai sempre er preciso») ma l’autrice si sente a suo agio anche nel racconto dei ceti alti, delle feste esclusive sui colli bolognesi. A cosa crede Bonvicini in questa Italia declinante e sempre più degradata? All’amore, unica tangibile realtà di fronte alla irrealtà (spesso criminale) della Storia, e di fronte alla ipocrisia dei rituali mondani. Ma non indulge al romanticismo da rotocalco. L’amore di Olivia e Valerio non è solo e tanto il risarcimento di una vita percepita come fallita quanto il restare fedeli a una promessa, e dunque maschera di un amore originario, gioioso, per tutto ciò che c’è.

Filippo La Porta

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