17 ottobre 2010

"Corriere della Sera"

Caterina Bonvicini: se l’esistenza si riprende i doni che ci ha fatto.

È a un romanzo a due dimensioni e, di conseguenza, a due registri narrativi che Caterina Bonvicini si affida con Il sorriso lento. Due registri ben distinti, scanditi in un procedere che alterna due diverse voci: l’io narrante di Clara, che nelle parti prima, terza e quinta ambientate a Bologna e dintorni si dà anche come «io plurale» nel dire e raccontare, muovendosi prevalentemente sul piano personale, ma a volte facendosi portavoce anche degli amici (le coppie Daniele e Sandra, Marco e Diana, la smandrappata Veronica). E nel quale (seconda e quarta parte) si inserisce da Londra l’io narrante di Ben, sessantacinquenne grande direttore d’orchestra. Due voci che l’autrice sa ben strutturare nel loro darsi sia come «voce prospettica», sia sul versante narrativo: perché mentre quella di Clara si dispone come racconto dettato da forte emozionalità e come tale continuamente inframmezzato, fatto di andirivieni tra presente, passato prossimo e remoto (non senza qua e là qualche ripetitività), quella di Ben si offre a un narrare piano e continuo, in cui si collocano senza fratture anche i flashback. Né può essere diversamente, stanti le psicologie dei personaggi: tutta tesa all’esterno, verso gli altri, Clara; possessivamente egocentrico, per sua natura anche menzognero, Ben. Due vite che procedono parallele, attorno a un destino di morte: subito chiaro con Clara, che ha al centro la solare Lisa, l’amica del cuore destinata a morire di tumore appena partorito; improvviso con Ben, cui si presenta quando, dopo anni di separazione, la moglie Anna, grande cantante lirica da lui chiamata «Il clarinetto» per la stupenda voce, gli comunica che sta per morire a sua volta di tumore. E quello di Clara, vero racconto centrale del romanzo, si fa amoroso epicedio per l’amica d’infanzia e di tante avventure, celebrato memorialmente in prima persona o con gli amici stretti, in un rincorrersi quasi da frenesia narrativa nel tentativo di tenerla in vita almeno nel ricordo, tra immagini ora sorridenti e ora struggenti del passato spensierato e del presente doloroso: e però nel segno della vitalità d’una Lisa che si spegne si col «sorriso lento», quello «della fine» della «vita che rallenta, che declina fino all’immobilità, un po’ alla volta», ma senza farsi sconfiggere dalla morte, guardando avanti per marito, figlio e amici. In cui s’inserisce la storia di Ben e del suo possessivo rapporto con l’indipendente Anna: che si incrocia con Clara all’hospice di Bentivoglio (Bologna), ove le due ragazze sono ricoverate e che vede Ben tornare al capezzale di un’Anna abbandonata da tutti. Un incontro casuale, che prosegue successivamente, utile narrativamente a Bonvicini come momento di chiarificazione e ritorno alla vita per Clara, mentre Ben riaffoga nella sua egoistica prigione. Un incrocio strumentale che non mi convince del tutto, contrariamente alle due storie parallele di amore e disamore. In cui emergono soprattutto i personaggi principali. Perché, salvo che nei momenti decisivi, Anna subisce la prospettiva egocentrica di Ben. Come avviene anche per le amiche di Clara. Salvo Lisa, ovviamente, sulla cui lezione di vita e amore il romanzo è incentrato e la cui presenza fa intense le pagine. Proprio perché è una Lisa che Clara vive dall’interno di sé.

Ermanno Paccagnini

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