21 febbraio 2014

"Sette, Corriere della Sera"

Il giardino dell’amore.

Non è facile per un narratore coniugare una vicenda amorosa, che dura quasi 40 anni e, oltretutto, è legata alla saga di due famiglie, con la storia del nostro Paese dal 1975 sino a oggi. Due pericoli incombono: l’approssimazione da un lato, il velleitario anelito alla grandeur dall’altro. Caterina Bonvicini, 38 anni, diversi romanzi alle spalle tra cui quel piccolo gioiello che è Il suo libro d’esordio, Penelope per gioco (Einaudi, 2000), ha evitato ogni caduta di gusto calibrando struttura e stile nel suo nuovo romanzo, Correva l’anno del nostro amore. Coinvolgente sin dalle prime pagine, com’è vero che le storie dell’infanzia, se baciate dalla leggerezza della scrittura, hanno un incanto tutto particolare. Perché infanzia è lenta scoperta della vita, dell’altro da sé, della gioia di esistere: infanzia, insomma, è l’archetipo dell’esserci nel mondo. A Bologna, ultimi Anni Settanta, Olivia e Valerio, quattro anni di età, sono inseparabili. Vivono in una villa con un grande parco, si cercano di continuo, giocano insieme, a cinque anni si danno il primo bacio. Con un piccolo “però”: lei è la nipote del proprietario, Gianni, grande costruttore edile, e di Manon, una delle donne più belle di Bologna, lui è il figlio del giardiniere e della cameriera di casa. Differenze di classe che sfiorano soltanto il bambino, ma che tormentano sua madie, Sonia, smaniosa di una vita dove possa sentirsi padrona. Fuori dal chiuso paradiso del giardino c’è ben altro, il difficile esistere di quegli anni, la paura e l’orrore della Strage dell’Italicus, i sequestri per opera delle Brigate rosse o della mafia, le aggressioni, gli omicidi. Poi, il 2 agosto 1980, la bomba alla Stazione di Bologna. È il crollo di un mondo, ma il mondo «stava per crollare davvero» per Il piccolo Valerio, «e non c’entravano gli anni di piombo»: la mamma si innamora di un romano, Max, un cravattaro, un piccolo malvivente, e lascia il marito e il lavoro portando con sé Valerio a Roma, in una casa di borgata.

Separato dall’amica del cuore, il bambino cresce alla dura scuola del sottoproletariato romano ma ne esce fortificato: al paradiso si è sostituita la realtà, compresa la nascita di una sorellina, e lo scompiglio gettato dalla morte di Max, coinvolto nelle imprese della banda della Magliana e accoltellato in prigione. Valerio e Olivia si vedranno ancora, nonostante intervalli di anni, si ameranno e si lasceranno, per poi ancora ritrovarsi, benché le loro vite abbiano imboccato strade molto diverse: lui laureato e braccio destro di un grosso palazzinaro romano, lei malmaritata, artistoide e inconcludente. Tuttavia sempre irresistibilmente attratti l’uno dall’altra, perché «le età della vita», «quelle età mai passate, che mai passeranno», ci restano dentro, per sempre.

La forza delle figure di contorno. Ma importa dire che la Bonvicini sa destreggiarsi con finezza narrativa nelle complicazioni di una trama fittissima di imprevisti: mescola con eleganza la storia di formazione al romanzo grande-borghese – giacché qui si narra anche della lenta decadenza della ricca famiglia di Olivia – al mélo e alla cronaca di tempi infausti, e si adegua ai mutamenti dell’animo dei suoi protagonisti, alternando lirismo e realismo. Brava a evitare un altro rischio: perché spesso romanzi di tale portata si perdono nell’irrilevanza rappresentativa delle molte figure di contorno. Non qui: a partire dalla strepitosa nonna, Manon, che sostiene con fermezza lo sfacelo del suo mondo. Vedrà il lettore il finale inaspettato; un piccolo shock che ci insegna a non sperare troppo in sogni che non sempre si avverano.

Giovanni Pacchiano

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