20 gennaio 2017

"Gazzetta di Mantova"

L’assenza di un uomo dà voce a sette donne

Sette donne attorno a una tavola imbandita la notte di Natale aspettano l’arrivo di un uomo: marito, ex marito, amante, padre, figlio, fratello, per ciascuna di loro Vittorio è un uomo diverso. Molte lo odiano, molte lo amano, tutte lo fanno contemporaneamente, in un miscuglio di sentimenti contrastanti che, in questa situazione sospesa, rimbalzano da una voce all’altra. L’arrivo sarà disatteso e non solo per quella sera, ma per un lungo anno sabbatico, come Vittorio lo definisce in un laconico messaggio alla madre. Il romanzo della Bonvicini è costruito sull’alternanza delle sette voci che narrano la storia da punti diversi; la maestria di questa scrittrice sta nell’afferrare una situazione incandescente, sette donne sull’orlo di una crisi di nervi, nemiche o nel migliore dei casi antagoniste, e arrivare a dipanare questo groviglio evolvendo ciascun personaggio verso un futuro tutto da scrivere, dove il risentimento, la nostalgia, la rabbia e il disprezzo evaporano. Liberando, finalmente, tutte dal loro cliché. Alla voce di Vittorio – cui è riservato l’epilogo che ovviamente non sveliamo – affidiamo una lettura trasversale di questo magma di relazioni: “Forse ho avuto troppe mogli, troppe figlie, troppe madri. Tutte le donne, nella mia vita, sono state troppe cose. Sempre oltre le loro competenze: la madre che tende ad essere moglie, in conflitto con la moglie che tende ad essere madre. La figlia che si sente moglie, urtando la moglie che ha bisogno di sentirsi figlia. L’amante che gioca a fare la sorella, mentre la sorella si crede un’amante.” Caterina Bonvicini ha saputo guardare da vicino le donne. Lei che con grande facilità nei precedenti romanzi ha dato voce e corpo anche a protagonisti maschili, qui riesce a non banalizzare nessun carattere, nonostante le sette comparse appartengano a categorie ben definite. C’è una carezza di compassione per Camilla, l’ultima arrivata: struggente il suo non dialogo con la madre durante un passaggio d’estate trascorsa a casa; quell’incomunicabilità dovuta alla vita di Milano che trasforma una ragazza di provincia al punto di rendere irreversibile ogni ritorno. Ada, così presa dalla sua carriera, ma così consapevole di ciò che fa, così presente a se stessa, in un modo che finisce per ferirla.  La giovane Giulia, forse il personaggio più vicino allo stereotipo – ma si sa l’adolescenza è la stagione della vita più autentica nella sua replicabilità – che Bonvicini coglie nei momenti di spaesamento e, ancor meglio, mentre sta ricostruendo la trama del rapporto con sua madre. Cristina, la moglie in carica, che tenta di surrogare una frustrazione, quella di un Vittorio ormai distante, con un amante sul quale non fa altro che scaricare la sua delusione, senza in realtà voler costruire nulla.
Bonvicini ha una scrittura irreprensibile, sulla quale ha lavorato a lungo anche nella sua esperienza di saggista. Qui dà il suo meglio perché si diverte a costruire i personaggi, a farli funzionare nell’incastro delle relazioni e nel dipanarsi della storia che avvince come un giallo. Sarà Vittorio a dare la chiave del mistero, ma questa è un’altra storia. Le sette donne sole e agguerrite in questo lungo anno ne hanno scritta un’altra, emozionante, consistente, positiva e appunto per nulla scontata.

Tina Guiducci

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