10 giugno 2018

"La Repubblica, Bologna"

Il noir ha regole ferree: aiutano a navigare dritto

Lindos, Grecia. Una mattina d’estate un uomo si sveglia in una camera da letto che non riconosce. Sdraiata accanto a lui una ragazza 
piange. A terra, c’è sua moglie, Ludovica. Morta. «Sei stata tu?» chiede alla ragazza. «No, sei stato tu» risponde lei. Si apre così “Fancy Red” (ed. Mondadori), il nuovo romanzo della bolognese Caterina Bonvicini, ora di casa tra Milano e Roma, e non lascia tregua al lettore fino alla fine. Lo racconta l’autrice domani alle 18 alla libreria Coop Ambasciatori con Alessandra Sarchi e Marcello Fois.
Signora Bonvicini, cominciamo dal titolo. “Fancy Red”, un prezioso diamante che Ludovica porta al naso, montato come un piercing. Ma i diamanti sono pure alla base della struttura del romanzo. Perché?
Non mi interessano i gioielli, figuriamoci i diamanti. Ma ho un’amica che lavora per Sotheby’s e un giorno parlando mi ha detto “mi piace guardarli, i diamanti, non possederli”. Quando ha pronunciato quella frase ho capito che sarei partita da li. Viviamo in un mondo in cui tutti sono ossessionati dal possesso, mi sembrava meravigliosa. Ho anche costruito il romanzo come un ottaedro, la struttura cristallina della gemma. Ma soprattutto il protagonista maschile, Filippo, è un gemmologo, che osserva il mondo come se fosse una pietra preziosa. Uno che cerca il punto debole in tutte le cose, come i tagliatori cercano il piano di sfaldatura in un diamante.
Perché un noir?
Ho sempre amato sperimentare generi letterari diversi e solo a quarant’anni ho scoperto il noir. Me ne sono innamorata. Ha regole ferree ma quei limiti sono un faro, ti aiutano a navigare dritto. E poi si fonda sull’ambiguità, che considero la quintessenza della letteratura, e ti costringe a spingerla all’estremo. Non è stato semplice, mi hanno dato molti consigli due amici scrittori, Marcello Fois e Alberto Carlini.
L’indagine nel romanzo corre ottavo romanzo su due binari. Da un lato si cerca un assassino dall’altra la verità su un matrimonio, fatto di passione e tradimenti, veri o presunti.
In un flashback Ludovica dice al marito: “il desiderio è qualcosa di molto complicato”. Mi interessava indagare il desiderio, mi affascina perché è sfuggente. A volte si confonde con i1 capriccio, altre con la follia, invece ha le sue ragioni, spesso da cercare nel passato delle persone.
Nel passato di Ludovica c’è la guerra di Bosnia, una guerra oggi dimenticta.
Durante quella guerra andavo a scuola e vivevo a Bologna. Mia nonna aiutava i profughi e io l’accompagnavo. Ero diventata amica di una ragazza della mia età, che era stata portata via da Sarajevo dalla Croce Rossa perchè aveva la leucemia. L’ho conosciuta al Sant’Orsola. Mi raccontava:”Sai, quando andavo a scuola io, mi sparavano addosso”. E cos’ quella guerra è rimasta per me un’ossessione.
Il libro è dedicato alle “amiche scrittrici”, come mai?
L’ultimo capitolo l’ho scritto a Mialno, mentre Evelina Santangelo, ospite a casa mia, finiva il suo romanzo. Una in studio e l’altra in salotto. La sera eravamo così stanche che non riuscivamo a riempire d’acqua una pentola per farci la pasta. Con alcune, come Ciabatti, Parrella, Valerio, Murgia, Milone, Sarchi, Santangelo, ci sentiamo tutti i giorni.
Nell’editoria non abbiamo bisogno di un #MeToo, per fortuna, ma c’è una bellissima solidarietà fra donne.

Emanuela Giampaoli

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