20 marzo 2008

"Panorama"

Protetta dagli squali.

Scrive in cucina, faccia rivolta al muro, come in una pratica zen. E infatti Caterina Bonvicini, 33 anni compiuti a fine novembre, ammette: «È un modo di amare il vuoto». Vuoto che teme e scongiura con pratiche affabulatorie: i libri che scrive, le chiacchiere di cui ti inonda. Esce adesso dalla Garzanti il suo terzo romanzo, L’equilibrio degli squali. I due precedenti, Penelope per gioco e Di corsa, più la raccolta di racconti I figli degli altri, tutti della Einaudi, non sono passati inosservati.

Che Bonvicini fosse brava, parte di un interessante gruppetto di giovani scrittrici, come Evelina Santangelo, Ornela Vorpsi, Valeria Parrella (tutte sue amiche), era noto. Ma L’equilibrio degli squali è qualcosa di più, un romanzo maturo che ruota intorno a un grande tema, la depressione, e lo fa con sapienza costruttiva nabokoviana, con la compatta disperazione di Sylvia Plath (La campava di vetro), e con una moderna, femminile ironia.

«Come lavoro?» si chiede. «Ho sempre molti ripensamenti, fatico come una bestia. Procedo per gradi: prima lo scheletro della trama, poi gli organi, poi i muscoli, poi la pelle. Riesco ad arrivare a qualcosa di umano solo stesura dopo stesura. Mi ribalto senza pietà fino alla fine».

Si ribalta come gli squali del titolo, protagonisti importanti del romanzo, presenze minacciose e insieme divinità protettive. Ha molto studiato, guardato documentari, per dare al padre della protagonista, oceanografo, la dignità del personaggio che sembra vero. Tutto è molto vero in questo romanzo, e umano, quindi contorto, ambivalente, drammatico con ribaltamenti inquietanti nel comico, in definitiva vitale. La giovane protagonista, Sofia, dopo un matrimonio finito per l’insostenibile depressione di lui, dopo un tentativo di suicidio dovuto a un cocktail di farmaci, dopo una collezione fallimentare di relazioni amorose in cui la nevrosi spadroneggia e ottunde sentimenti governati con difficoltà, cerca di ricucire le maglie slabbrate della propria fragilità, con un quotidiano confronto con la figura tragica di una madre morta suicida e di un padre Peter Pan che fa dell’acqua e dei pesci il suo mondo sostitutivo.

«Mia madre è viva e vegeta, mio padre ama il mare ma non è un oceanografo. Però certo, la depressione la conosco, con tutta l’empatia e la sofferenza che comporta. Non me ne vergogno. Anzi, sono contenta di quello che ho capito di me stessa e degli altri». Sfondo della storia, oltre ai mari lontani del padre, una Torino molto amata, teneramente avvolgente. È tutto un intreccio di vite caotiche, di gelosie che sono pane quotidiano della grande solitudine contemporanea. L’equilibrio degli squali è stato subito acquistato in Francia dalla Gallimard, grazie al giovane editor Vincent Raynaud, per il quale Caterina prova grande riconoscenza. «Mi ha sostenuta fin da quando lesse il mio libro di racconti». Che cosa rappresentano per lei? «Il mio incubo ricorrente. La bocca spalancata che sale dall’abisso per trascinarti a fondo. Con tutto il fascino che il pericolo comporta»

Sandra Petrignani

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