23 febbraio 2008

"TTL, La Stampa"

Scendere negli abissi con Sofia.

Un libro di grande dolore e di profondo amore per la vita. Entrambi, in fondo, dolore e amore, normali quanto forse inspiegabili. Eppure così veri …

Per lo meno per come sa presentarceli sulla pagina Caterina Bonvicini, che ci racconta dei traumi e delle poco agevoli vicende di Sofia, una giovane fotografa torinese, duramente provata e turbata da amori e affetti tutt’altro che lineari e tranquilli, che racconta in prima persona. Inizia col dirci del marito, aggredito dalla depressione e poi sempre più scosso internamente fino a esplodere. Legge un pacchetto di lettere scritte dalla madre a un amico, nelle quali emerge la fisionomia di un personaggio irreversibilmente immerso negli equivoci di un’epoca (quella del ’68 e degli Anni Settanta), dai quali non riesce a liberarsi, facendosi travolgere fino al suicidio. Del tutto diversa la figura del padre. E’ lui, infatti, l’uomo degli squali che compaiono nel titolo L’equilibrio degli squali, appunto – ed è il personaggio forse più positivo e integro del romanzo, e personalmente quello che più mi è piaciuto. È un giramondo sempre in immersione, in Sud Africa o in Australia, che studia gli squali, li fotografa e li filma, e ne ammira la bellezza e la perfezione di animali troppo spesso identificati, dal luogo comune e dall’incompetenza, come orrendi mostri sanguinari. È un uomo che conosce gli abissi, ma si tratta di profondità ben diverse da quelle in cui, piano piano, viene a immergersi anche la protagonista narrante, che ha tra l’altro la sfortuna, dopo essersi separata dal marito, di imbattersi in altri soggetti sempre in bilico tra normalità e depressione. Sofia, insomma, è come circondata da una realtà instabile, da una vertigine diffusa in cui rischia costantemente di cadere, in cui cadrà, sempre meno in grado di non farsi risucchiare. Ma, appunto, questo per corso depressivo non esclude una sua anche violenta passione, o opzione, per la vita.

 

USCITE QUASI AFORISTICHE

Il libro è vero e bello. La trentatreenne Caterina Bonvicini è scrittrice matura, e persuade ben presto il lettore a seguirla grazie all’efficacia e all’equilibrio espressivo della scrittura e dello stile. Per fortuna, visto che siamo sempre più circondati da giovani scrittori che ci affliggono imitando romanzi d’appendice ottocenteschi, imitando scrittori di genere giallo o nero, imitando l’analfabetismo della conversazione quotidiana.

Ma oltre alle buone qualità stilistiche, Caterina Bonvicini sa farsi apprezzare per l’autenticità antiretorica del suo sentimento dell’esistere – di cui coglie molto bene la complessità labirintica – e per una capacità di pensiero che sa spesso tradurre in nitide uscite quasi aforistiche.

Con questi mezzi riesce a farci entrare con calma e partecipazione nel mondo di Sofia, nella sua amata Torino, tanto che se le stesse vicende dei suoi personaggi sono tante volte estreme, il lettore riesce comunque a trovarle plausibili, quanto mai verosimili dentro una realtà ambientale malata, come è in effetti tanto spesso la nostra.

Maurizio Cucchi

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