5 maggio 2016

"L’Espresso"

Sette donne che parlano molto

Non si leggono spesso romanzi conversazione come quelli che Alberto Arbasino ha saputo architettare negli anni Sessanta e che hanno il loro culmine in “Fratelli d’Italia”, opera-monstre alla vigilia del 2000. Caterina Bonvicini non fa la stessa cosa in Tutte le donne di (Garzanti) eppure vi si avvicina di molto. Intanto non sono dialoghi, bensì monologhi tendenti al dialogo, che intessono sette e donne, età dai 16 ai 89, con ruoli diversi intorno a un unico uomo, Vittorio Fumagalli, scrittore: dalla prima alla seconda moglie, due figlie, una madre, un’amante e persino la sorella.
Al pranzo di Natale, con tutte presenti, lui non compare e misteriosamente sparisce. La narratrice dà voce a ciascuna, non solo per raccontare il rapporto con l’uomo nei loro differenti ruoli, ma per illuminare da dentro, nei pensieri reconditi, L’universo femminile che vive ed esiste indipendentemente da quel centro vuoto, dall’oggetto assente del desiderio. Ambiente borghese, milanese, salottiero, con editoria, università e dintorni. Amori, speranze, fallimenti, rabbia, risentimento, paure, angosce, rimorsi, stupidità. C’è un po’ di tutto; c’è soprattutto la scrittura veloce, abile, sottile dell’autrice. La chiave di volta del libro è la frivolezza, che non indica superficialità, vacuità, oppure futilità, quanto piuttosto fragilità: l’andare in pezzi.
Della frivolezza, come il maestro Arbasino, Bonvicini possiede la vocazione certa: qui viene in luce la sua capacità ventriloqua di assumere le tante voci della fragilità femminile.
Finale in attesa, con Vittorio che prende la parola e mette in forma intera storia. Forse il silenzio maschile non sarebbe stato male. Il libro era già perfetto così.

Marco Belpoliti

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