26 marzo 2008

"Corriere della Sera"

La solitudine di Sofia in questo oceano di squali.

Sono ancora una volta i «non-rapporti» di coppia o familiari al centro della narrazione di Caterina Bonvicini. Ciò significa un romanzo di solitudini e sofferenze, già dichiarato dall’iniziale referto medico su un tentativo di suicidio, nel quale se ne richiama uno più antico, di Margherita, la madre della protagonista Sofia. La causa: la depressione, che come virus e calamita, colpisce e attrae gli uni agli altri vari personaggi: Sofia e il marito Nicola; Sofia col depresso Arturo.

Con la parola-mito «equilibrio» a sospingere Sofia nel tentativo di «sciogliere» la propria «confusione interna» che, fotografa, concretizza in immagini di una Torino che annega tra gli squali.

E in tal senso L’equilibrio degli squali è romanzo di scioglimento. È racconto della maturazione di Sofia attraverso il matrimonio, il rapporto solo attraverso email col padre che ha eletto a proprio habitat l’oceano degli squali, il fantasma della madre che le compare a diciotto anni attraverso lettere ritrovate dall’amico Nino, gli amanti Arturo e Marcello, i rapporti con la seconda moglie Claudia e i figli. E con Torino, l’amata città di cui però Sofia apprezza soprattutto l’irregolarità di Largo Quattro Marzo.

Un romanzo di tante singole solitudini (e vale qui l’allegoria del singolare «destino solitario» dello squalo bianco) le cui soluzioni tentate non si traducono mai in conoscenza e amore, di fatto solo «roba di pancia» o «forma passiva». E solo scendendo dentro il buio del proprio abisso interiore (ben descritto dal padre parlando proprio di oceano e squali) che si può forse riemergere, come accade a Nicola, e poi a Sofia in un finale arioso.

Un romanzo teso, che si muove su una pluralità di registri espressivi e che direi giocato su due tempi: di particolare tensione e intensità negli iniziali capitoli del rapporto Sofia-Nicola e nei finali, col crescendo di tensione e pacificazione; più da «andante con moto» quelli centrali, ove entrano il singolare Arturo e Marcello (personaggio debole), con anche qualche eccesso di lentezza, e ove però s’affacciano le lettere della madre all’amico Nino: dense, addolorate (nuoce però il richiamo alla cronaca politica Anni Settanta); ma davvero dentro una testa e un cuore che vanno gradualmente disfacendosi quando Margherita si ausculta, sino a una automacerazione da cupio dissolvi infine realizzato.

Una Bonvicini matura, insomma. Anche stilisticamente. E la spia è proprio nella gestione delle email del padre: in qualche caso, certo, forse anche di troppo; ma che sa personalizzare e allegorizzare, sottraendole al rischio della pericolosità da linguaggio scientifico-enciclopedico.

Ermanno Paccagnini

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