10 febbraio 2008

"QN"

E a trent’anni Sofia ha imparato a nuotare.

È UN BEL TITOLO, L’equilibrio degli squali, per un romanzo sulla fragilità. Femminile, ma non solo. Storia di Sofia, che esce a pezzi da un matrimonio e corre verso mille altri rapporti, tra lo spettro di una madre morta che affiora e un padre lontano che, appunto, nuota tra gli squali. Geometria interessante, per questo che è il quarto libro di Caterina Bonvicini, trentaquattro anni, fiorentina di nascita ma bolognese di crescita e romana di vita vissuta. Premiata all’esordio (il libro era Di corsa) con il “Fiesole under 40”.

L’equilibrio degli squali”: che vuol dire, meglio uno squalo di un uomo?
«Oddio, dipende dai gusti. Mia zia fa immersioni e nuota fra gli squali senza battere ciglio. Io invece sono fifona. Fra i due, soprattutto in acqua, scelgo un uomo, anche della peggior specie».

Ma è sempre una metafora efficace, lo squalo, per l’abisso della paura al femminile?
«Anche della paura maschile. Non credo che faccia piacere a nessuno vedere un’ombra, magari a bocca spalancata, che risale dalle profondità. Metaforica o no».

Anche lei Caterina, ha la sensazione di nuotare tra gli squali?
«Ho scritto un romanzo intero su questa sensazione. Tutto nasce da un incubo ricorrente, che peraltro faccio ancora. Alla faccia della scrittura terapeutica.»

E qual è il suo antidoto di trentenne del Duemila?
«Un bassotto. Gli antidepressivi quando la vita è più faticosa di me. Gli amici, i miei adorati amici. Recentemente ho scoperto anche l’importanza di avere un compagno equilibrato accanto, che non è per niente da buttare. E la scrittura, che è la mia forza, comunque vada».

Sofia, creatura fragile: specchio delle donne di oggi?
«Nel romanzo sono fragili tutti, donne e uomini. Parlo di un’epidemia contemporanea, certo».

Sofia e l’ansia di una coppia per forza: ma non è un paradosso per le donne di oggi?
«Non le sembra umano desiderarlo? Lasciamo perdere i clichè, che ogni epoca produce. La solitudine è dolorosa in ogni tempo e a qualsiasi età. E chi ha detto che bisogna stare in coppia per forza? Io scelgo. A volte bene, altre male, ma scelgo. Non mi sono mai privata di questa libertà».

Ma insomma, sono più bamboccioni e insicuri gli uomini o le donne?
«Vuole una risposta sincera? Gli uomini. Lo riconoscono anche loro. Le donne sono insicure in un altro modo, alla fine più poetico. Però, glielo confesso: io amo le insicurezze. Di tutti. Mi fanno molta più paura i mondi senza dubbi».

Ma perché tante donne scelgono di farsi divorare dal successo?
«E gli uomini, scusi? Io credo che il successo metta alla prova la maturità delle persone. Divora i vuoti, non chi è fatto di una certa sostanza. Senta, ho conosciuto scrittori in lista per il Nobel: erano interi eccome. Si vede anche dai loro libri. Poi, certo, vediamo tutti i giorni gente piccina che per molto meno impazzisce. Ma è un problema loro».

Un capitolo si intitola “Il morso di un dio irrisolto”: c’è avidità di sacro?
«Per carità, lascio l’avidità di sacro agli altri. Mi sembra che ce ne sia già abbastanza in giro. Era un titolo ironico. Personalmente, sarei felice se ci lasciassero una fettina di laicità».

Lei una volta ha detto di voler scrivere come un maschio: perché?
«Scrivo, e basta. Fuori dai generi».

L’amore resta un bel soggetto per un romanzo?
«Purché non sia l’unico tema. Purché l’argomento sia esteso a tutte le forme d’amore. Amore per il mare o per la poesia, fra uomo e donna, fra genitori e figli, non importa. Deve portare a una qualche conoscenza, ecco».

Paolo Pellegrini

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