10 giugno 2018

"Robinson, La Repubblica"

Un diamante è per morire

“Mi piace guardarli, i diamanti, non possederli: quando ho infranto questo patto con loro, è cominciata la mia fine”. Se è vero che ogni storia è una storia d’amore – e l’odio pure è amore come resta scritto in Ftush di Virginia Woolf (e altrove) – anche Fancy red, l’ultimo romanzo di Caterina Bonvicini, è una storia d’amore. E di odio. Il titolo del romanzo è una specifica caratteristica di un diamante, una qualità, un colore, una rarità. Ci sono diamanti che tutti conosciamo, i cui nomi sono parte della storia del mondo – il Koh-i-Noor, per esempio – e altri diamanti, come il protagonista indiscusso di questo romanzo, che non sono né noti né importanti nella storia del mondo, ma solo nella vicenda di qualche individuo.

Filippo, esperto in pietre preziose che lavora in una casa d’aste, Ludò, sua moglie e proprietaria del diamante fancy vivid red del titolo, il padre di Ludò, uomo d’affari, e Isabel, la ragazza nel cui letto Filippo e Ludò si svegliano una mattina (dopo sogni inquieti). Per loro, per esempio, il Fancy red è importante. Solo che la mattina in cui Filippo e sua moglie si svegliano in una stanza da letto sconosciuta, Ludò è morta e Filippo non ricorda come e cosa sia successo la sera prima. Isabel, l’ospite, piange e le sue lacrime imputano la colpa dell’omicidio di Ludò a Filippo. Dimenticare, d’altronde, è un modo di essere colpevoli. O, senza generali astratti, è il modo in cui Filippo si sente colpevole verso quel che rimane di Ludò, il suo corpo e il diamante rosso, montato come un rubino qualsiasi e indossato come un piercing qualsiasi. “Era ancora tiepida e io pensavo che un diamante in fondo funziona come la nostra memoria quando siamo innamorati: trattiene la
luce, trattiene il calore, trattiene l’energia del momento che viviamo, E di tutta quell’enormità alla fine ci rimanda solo un riverbero distorto.” Fancy red si snoda in un appassionante e inquieto Rashomon geografico, ogni posto, ogni città, ogni viaggio raccontano un pezzo della verità che Filippo cerca, e se non della verità almeno del ricordo, e se non del ricordo almeno del diamante rosso scomparso insieme a Isabel il giorno successivo alla morte di Ludò. Che Filippo insegua la pietra o la memoria di sua moglie non ci è dato saperlo, quanto la memoria di Ludò stessa e la pietra coincidano, non ci è dato saperlo, e non ci è dato saperlo perché Caterina Bonvicini, con toni e modi da signora inglese del noir nasconde le tracce del diamante rubato sotto le tracce della vita di Ludò, chi legge segue una storia di colpa e inciampa in una storia di vendetta. “È facile essere equilibrati quando sì è felici.” Come in Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, come in Kill Bill di Quentin Tarantino, i personaggi di Fancy red, e il diamante rosso prima di tutto, hanno più passato che futuro, per indole, per storia collettiva, o per costituzione e dunque è col passato che devono incontrarsi. In Faracy red vivono tutte le ossessioni e i riverberi dei romanzi precedenti di Caterina Bonvicini: l’alta borghesia e tutte le altre borghesie, la differenza di classe sociale che si trasforma in differenza etnica (e d’altronde siamo l’unica specie senza razze, dunque le nostre razze possono essere solo invenzioni politiche e culturali), il sesso come misura di vicinanza e distanza dei sentimenti provati, e questi riverberi e ossessioni sono organizzati nella narrativa di Bonvicini -scrittrice finora di genere realista – in un altro genere, il noir, e ciascuno di essi è la sfaccettatura di una pietra, ciascuno di essi è un filo dell’ordito e della trama che compone il grande arazzo della nostra incapacità a essere felici e della nostra impassibilità a perdonare. “I segreti dei morti sono ancora più sacri di quelli dei vivi”.

Chiara Valerio

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